Studi sul diabete attestano che controllare la glicemia variabile è importante quanto prevenire l’iperglicemia.
È ormai acquisito che l’insorgenza delle complicanze cardiovascolari e microangiopatiche del diabete è strettamente dipendente dal tempo di esposizione a elevati livelli di glicemia e quindi di emoglobina glicata. Opinioni diverse vengono invece espresse sul possibile ruolo della glicemia variabile, le cui oscillazioni giornaliere potrebbero attivare di per sé, nei tessuti bersaglio, meccanismi molecolari responsabili di stress ossidativo e capaci perciò di favorire i processi di rimodellamento della parete vascolare.
Il problema della glicemia variabile è stato l’oggetto di due recenti pubblicazioni dedicate rispettivamente alle complicanze cardiovascolari e alla nefropatia diabetica. In una nuova analisi dei risultati dello studio Heart2D, oltre 1000 pazienti con diabete di tipo 2 ricoverati per infarto del miocardio sono stati sottoposti, dopo il superamento dell’episodio acuto, a una terapia insulinica mirata alla copertura prandiale mediante tre dosi giornaliere di insulina rapida o a un modello alternativo di terapia fondato sull’impiego di una dose di insulina glargina o di una doppia dose di insulina Nph per una copertura basale. Il valore della emoglobina glicata non differiva nei due gruppi, ma, come era logico attendersi, la variabilità della glicemia calcolata sulla base di alcuni indici derivati dalla misurazione della glicemia in 8 momenti della giornata, è risultata minore di circa il 20% nei soggetti trattati con tre dosi prandiali di insulina. Ciononostante, nessuna differenza è stata riscontrata fra i due gruppi per quanto concerne l’incidenza di eventi cardiovascolari successivi all’infarto del miocardio.
Risultati diversi sono stati invece ottenuti in uno studio condotto nei Dipartimenti di pediatria di Chieti e di Cambridge su 1232 soggetti con diabete di tipo 1 insorto in età infantile (età media alla insorgenza 9,2 anni), reclutati nello Oxford regional prospective study e nel Nephropathy family study e valutati dopo un periodo di 8,6 anni. Per tutti i soggetti inclusi nello studio, erano disponibili i risultati del dosaggio periodico della emoglobina glicata (A1c), eseguito in un laboratorio centralizzato. I 227 soggetti che avevano sviluppato microalbuminuria in questo periodo di osservazione erano caratterizzati da valori medi più elevati di glicata, ma anche da una maggiore variabilità dei valori. Inoltre, questa variabilità della A1c è risultata essere un fattore indipendente di rischio per la comparsa di microalbuminuria. Questi risultati sono in accordo con dati recenti derivati dal Finnish diabetic nephropathy (FinnDiane) studye dal Pittsburgh epidemiology of diabetes complications (Edc) study.
Al di là delle evidenze derivate da studi clinici prospettici come quelli citati, sembra logico concludere che, pur attribuendo la maggiore responsabilità, nella insorgenza delle complicanze micro e macrovascolari, alla esposizione a livelli medi di glicemia elevati, sia necessario perseguire nella terapia del diabete, anche un controllo glicemico stabile.
PER SAPERNE DI PIÙ
• Siegelaar SE et al. A decrease in glucose variability does not reduce cardiovascular event rates in type 2 diabetic patients after acute myocardial infarction. A reanalysis of the HEART2D study. Diabetes Care 2011; 34:855–857
• Marcovecchio ML et al. A1C Variability as an independent risk factor for microalbuminuria in young people with type1diabetes. Diabetes Care 2011; 34:1011–1013,
• Wadén Jet al. A1C variability predicts incident cardiovascular events, microalbuminuria, and overt diabetic nephropathy in patients with type 1 diabetes. Diabetes 2009; 58:2649–2655
• Prince CT et al. Changes in glycaemic control and risk of coronary artery disease in type 1 diabetes mellitus: findings from the Pittsburgh Epidemiology of Diabetes Complications Study (EDC). Diabetologia 2007;50:2280–2288
(PB)