Come stanno i giovani diabetici italiani? Pur in mezzo a molte difficoltà, meglio di tanti loro coetanei di altri Paesi, compresi quelli più avanzati economicamente. Come emerge da un’indagine internazionale tra gli under 25 circa l’equilibrio tra cura del diabete e qualità della vita.

Ripercussioni psicologiche e lavorative sono tra le problematiche più ricorrenti. I ragazzi italiani, tuttavia, sembrano meno turbati rispetto ai coetanei di altri Paesi, mentre il peso della patologia pare gravare maggiormente sui gentori

Lo studio che fornisce queste informazioni è il Dawn (Diabetes attitudes, wishes and needs) Youth International condotto su ragazzi tra i 18 e i 25 anni, genitori di bambini e adolescenti e operatori sanitari di una decina di Stati (Brasile, Danimarca, Germania, Italia, Giappone, Olanda Spagna, Stati Uniti) promosso da Novo Nordisk con il coinvolgimento della Idf (International diabetes federation) e dell’Ispad (International society for pediatric and adolescent diabetes).

Alla ricerca internazionale – cominciata nel 2007 – ha fatto seguito un approfondimento in Italia, il Dawn Youth Italia, a cui hanno partecipato Siedp (la società degli endocrinologi e diabetologi pediatrici), Diabete Italia (il consorzio scientifico dei diabetologi di Sid e Amd) e dell’Osdi (infermieri diabetologici), dell’Idf, del Ministero della Salute, i rappresentanti delle associazioni nazionali dei pazienti diabetici (Fdg, Agd Italia, Aniad, Sostegno 70 e Jdrf Italia). Successivamente, è stato attuato in Italia il Progetto Alba (Analisi longitudinale dei bisogni degli adolescenti con diabete), promosso dal comitato scientifico di Dawn Youth e orientato sull’analisi dei problemi della scuola.

Un’analisi sintetica, ma puntuale, di tutti i risultati, con il raffronto tra Italia ed estero, si può trovare sul sito Dawn Youth Italia, redatta dal professor Leonardo Pinelli, direttore dell’unità operativa di Diabetologia, nutrizione, obesità in età pediatrica della Ulls 20 di Verona e da Silvana Zaffani, psicologa e psicoterapeuta della stessa unità operativa veronese. Entrambi membri dell’Advisory board del progetto, presieduto dal diabetologo Maurizio Vanelli.

Il primo rilievo interessante riguarda l’impatto del diabete sulla qualità della vita del giovane diabetico maggiorenne:

La media internazionale ci dice che il 35% degli interpellati sente di averne avuto ripercussioni psicologiche e lavorative negative, il 54% dichiara di avere perduto il lavoro dopo la diagnosi, il 47% di avere dovuto lasciare la scuola, il 12-17% di avere subito discriminazioni da parte dei coetanei, il 47% di avere dovuto sopportare forti oneri economici.

Invece, la maggioranza dei ragazzi italiani non denuncia particolari disagi né a scuola né sul lavoro, né nelle relazioni interpersonali.
Più dei ragazzi sembrano invece preoccupati i genitori e questa volta di più i papà e le mamme italiani rispetto alla media: se i risultati internazionali riferiscono di un 71% in apprensione per le possibili complicanze e di un 74% che sente la propria vita turbata dall’evento patologico, l’88% dei genitori italiani guarda con timore al futuro dei propri figli.

Per ciò che riguarda la comunicazione con gli operatori sanitari, la situazione italiana si differenzia da quella di altri Paesi, essendo prevalentemente orientata al genitore. Almeno per i primi anni di diabete, sembra che vi sia la tendenza a mantenere il giovane a margine del suo nuovo stato di salute. Per questo motivo è più alta, rispetto ai coetanei di altri Stati, la percentuale dei ragazzi italiani scontenti, come reazione a un approccio molto protettivo nei loro confronti, che si scontra con il loro desiderio di partecipare più attivamente alla cura della propria condizione.

Quando vi sono momenti di sconforto, a chi ci si rivolge? Il primo punto di riferimento sono amici e genitori: nel 56% dei casi secondo il dato internazionale, molto di più (il 73%) in Italia. Da noi il 36% trova di grande aiuto il confronto con coetanei che vivono lo stesso problema. Il 29% sceglie invece di parlare con l’infermiere di diabetologia. Soltanto il 7% si rivolge al diabetologo e solamente poco più della metà dei giovani e poco meno dei due terzi dei loro genitori sono convinti che non comprenda fino in fondo le difficoltà che il ragazzo diabetico deve affrontare quotidianamente. Pinelli e Zaffani suggeriscono in proposito di facilitare il contatto con i sanitari, per esempio organizzando incontri di aggiornamento, ma anche utilizzando le risorse delle tecnologia (come le chat line).

Sul fronte del controllo glicemico i risultati non sono del tutto confortanti, se il 76% dei giovani italiani ritiene di non riuscire a mantenerlo stabilmente (contro il 30% del dato internazionale) e -a parere degli operatori sanitari- soltanto la metà dei bambini e adolescenti ha valori corretti di emoglobina glicata. E’ però un buon segno l’attenzione prestata al monitoraggio glicemico: gli italiani si controllano dalle 6 alle 8 volte al giorno, più dei loro coetanei stranieri.

Dal Brasile ai Paesi Bassi, dagli Stati Uniti alla Germania, la scuola resta una questione aperta: solamente il 57% ha informato gli insegnanti di essere diabetico, soltanto il 28% dei genitori afferma di poter contare su un’infermiera presente nell’istituto per assistere i figli. In Italia soltanto un terzo dei ragazzi sente di avere ricevuto un adeguato supporto dalla scuola relativamente al suo diabete, i genitori dei più piccoli si dicono per lo più insoddisfatti, i due terzi degli interpellati lamentano la mancanza di personale infermieristico.

Nella pagina dei dati positivi va senz’altro riportato che solitamente, in Italia, il giovane diabetico si inserisce agevolmente nella classe, senza sentirsi “diverso” dai suoi compagni, e non patisce impatti negativi della patologia sul suo rendimento (questo problema sembra riguardare soltanto il 12% degli interpellati, particolarmente i più piccoli, che devono scontare qualche assenza in più degli altri scolari). Il 47% degli italiani dichiara di non soffrire per nulla di problemi direttamente collegati al diabete nello studio e il 61% dichiara di non avere mai ottenuto un trattamento di favore da parte degli insegnanti a causa del diabete.

Il fatto che i dati italiani siano spesso migliori di quelli internazionali non può però nascondere le difficoltà che accompagnano la condizione diabetica dei ragazzi e bambini italiani. Il Progetto Alba ha osservato più da vicino la situazione utilizzando il metodo dell’analisi qualitativa per “focus group”. Ne è emerso un quadro complesso dei problemi reali e concreti delle famiglie, a partire dalla necessità di riorganizzare la propria quotidianità dopo la diagnosi: per esempio, i genitori (ma soprattutto le madri) dei diabetici tra i 6 e i 13 anni devono mettere nel conto l’eventualità di dover lasciare il lavoro per potersi occupare del figlio. I bambini più piccoli segnalano timore delle reazioni dei compagni di scuola di fronte al loro diabete, ansietà, vergogna, impulso a chiudersi in sé stessi: tutti fattori che non aiutano la conoscenza sociale della patologia e possono far crescere i pregiudizi, annotano Pinelli e Zaffani. Conseguentemente, i genitori vorrebbero poter contare sul sostegno di uno psicologo per sé e per i propri figli.

Dai focus group emergono inoltre due forti preoccupazioni dei genitori riguardo al rapporto con la scuola: il timore che il bambino cada in una crisi ipoglicemica, tanto più (lo dice il 50% di loro) che l’istituto frequentato non dispone di glucagone e nemmeno di un frigorifero dove conservarlo; il rischio di cali di rendimento dovuti al diabete in quanto tale (difficoltà di concentrazione, giramenti di testa, irritabilità) e la riluttanza a parlarne con gli insegnanti per non fare la figura di chi cerchi scuse.

Con questionari mirati il Progetto Alba ha quindi interpellato genitori di ragazzini diabetici tra i 6 e i 13 anni, che frequentano scuole elementari e medie e al personale scolastico docente. Secondo questa rilevazione, i timori di padri e madri sembrano in parte ridimensionarsi. Infatti, solamente il 7% ritiene che il diabete abbia davvero influito negativamente sul profitto scolastico del figlio, anche se il 20% pensa che possa diminuire le capacità di concentrazione del bambino. Per il 56% non vi è stato alcun impatto sfavorevole. Il 20% denuncia invece difficoltà nella gestione dell’alimentazione, una percentuale che peraltro si poteva temere più elevata.

Dal canto loro, anche gli insegnanti confermano che in realtà i giovani diabetici prendono normalmente parte a tutte le attività dell’istituto, tutt’al più prendendo qualche precauzione: in questo caso, però, gli autori rilevano che “purtroppo, la precauzione più frequente consiste nella presenza del genitore (54,5% dei casi)!”. Non certo un modo per facilitare le cose alla famiglia e al bambino.

Anche la paura dell’ipoglicemia è ricondotta a proporzioni ragionevoli di fronte al dato concreto: certo, il 63% dei genitori testimonia che il figlio è incorso in almeno un episodio durante le ore di scuola, ma riferisce che sempre il problema è stato efficacemente risolto, nel 10% dei casi autonomamente dal ragazzo. Meno frequenti, ma sempre tenute sotto controllo anche le iperglicemie.

Resta tuttavia assodato il fatto che la scuola non è bene attrezzata ad accogliere i diabetici come tali: Pinelli e Zaffani osservano infatti che, se è vero che non risultano “episodi discriminatori o inadeguatezza di comportamenti da parte della scuola”, tuttavia, “il peso della gestione della malattia è totalmente a carico del bambino e della sua famiglia”sia per le pratiche quotidiane sia per le eventuali urgenze.

Infatti, circa la metà dei genitori risponde che i loro bambini non fanno iniezioni di insulina a scuola per l’altra metà che invece ne ha necessità, o ci pensa autonomamente il bambino oppure provvede il genitore. Solamente il 5-6% degli interpellati indica un insegnante o un infermiere responsabile di questo intervento. Il 56% dei genitori pensa che la scuola non sia sufficientemente attrezzata per le esigenze dei piccoli diabetici e soltanto il 23% degli insegnanti ritiene che il proprio istituto lo sia.

In caso di urgenza, la scuola risponderebbe chiamando un’ambulanza (72%) o i genitori (68%). E di fornte a un episodio ipoglicemico grave, soltanto il 15% degli insegnanti si dichiara disposto a ricorrere direttamente al glucagone.
Uno dei nodi da sciogliere è la conoscenza, ancora insufficiente, del diabete da parte di chi lavora nella scuola: lo pensa il 36% dei genitori di bimbi delle elementari e il 21% di quelli delle medie, secondo i quali c’è da un lato sottovalutazione, dall’altro rifiuto di responsabilità. In effetti, soltanto il 40% del personale scolastico afferma di avere avuto una formazione specifica sul tema, nella maggior parte dei casi (62%) dai genitori stessi, nel 33% dal centro di diabetologia.
Occorre quindi -sottolineano Pinelli e Zaffani- “una maggiore collaborazione e integrazione delle azioni di famiglia e istituzione scolastica” per risolvere i punti più critici, cioè la somministrazione di insulina a scuola da parte di personale preparato interno o eventualmente esterno, l’intervento del personale quando occorre l’assunzione di glucagone in caso di grave ipoglicemia, la formazione di chi opera nella scuola da parte del centro diabetologico.

Sulla scuola, come su tutti i problemi relativi al pieno inserimento dei giovani diabetici in società, la chiave della questione sta nell’aumentare l’informazione e la comunicazione tra tutti i soggetti coinvolti, compito che il Progetto Dawn-Alba intende promuovere con il massimo impegno.