Le informazioni sul diabete si cercano sempre più sulla rete, tramite consultazione di siti, invio di e-mail, utilizzo di novità tecnologiche applicabili ai nostri più moderni apparecchi (tablet, cellulari eccetera). Vi sono ormai dati che attestano che chi cerca informazioni sul diabete si rivolge sempre più spesso a internet: secondo un rapporto del Diabetes Web Observatory Group, redatto in collaborazione con il Dipartimento di Medicina dei servizi dell’Università di Roma Tor Vergata, Italian Barometer Diabetes Observatory Ibdo Foundation e Medi-Pragma, una persona con diabete su cinque cerca su internet notizie, aggiornamenti e informazioni sul diabete. Un paziente diabetico su sei poi discute con il proprio medico su ciò che ha letto in rete. Il crescente successo delle app dedicate alla salute non può che rafforzare questa tendenza, mentre aumenta anche l’utilizzo della posta elettronica per comunicare, anche quotidianamente, con il suo medico. Nel caso di una patologia cronica come il diabete, della cui gestione il paziente si deve occupare tutti i giorni, il bisogno di risposte, chiarimenti e consigli si fa sentire con particolare intensità e frequenza.
L’Associazione medici diabetologi ha intenzione di realizzare una piattaforma web rivolta a pazienti e medici per allargare la comunicazione e l’informazione sul diabete.
Secondo i diabetologi, tutto questo non è un male. E proprio perciò l’Associazione medici diabetologi ha annunciato la realizzazione di un progetto per rispondere alle esigenze e all’orientamento dei cittadini-pazienti, grazie a una piattaforma web con aree riservate ai pazienti, ai medici e alla formazione a distanza, in seno al più generale programma Diabetes Intelligence di Amd (progetto che si propone “di misurare e valorizzare il ruolo dell’assistenza diabetologica con strumenti di Business intelligence”).
Così commenta il vicepresidente di Amd Domenico Mannino: “Quello che le persone ci chiedono è abbastanza semplice e comprensibile: essere assistite a casa o sui luoghi di lavoro, essere controllate periodicamente, avere consigli per autogestire la malattia e prevenire i peggioramenti, essere aiutate ad affrontare momenti di crisi, avere accesso all’assistenza in ogni momento. Tutto questo è e sarebbe possibile grazie alle nuove tecnologie di comunicazione. Di fatto non lo è, perché questo tipo di assistenza a distanza, esso pure telemedicina, non è riconosciuto. È una di quelle pratiche che tutti noi, e probabilmente molti colleghi in altri ambiti medici, facciamo, ma i Lea non le contemplano. Anzi, siamo costretti a compierle clandestinamente, spesso attraverso la nostra mail personale e non aziendale, con tutti i rischi, anche legali, conseguenti”.