Quali sono le terapie per curare il diabete più prescritte e utilizzate in Italia? L’Associazione medici diabetologi, nei suoi Annali 2018, ha fatto il punto sul tema, esaminando con un’indagine sui centri diabetologici italiani l’impiego di farmaci e insulina, l’uso di microinfusori nel diabete di tipo 1, le scelte di trattamenti multipli, le situazioni in cui i pazienti (di tipo 2) non assumono medicinali e si controllano soltanto con dieta ed esercizio fisico eccetera.

Secondo gli Annali Amd, in Italia l’appropriatezza delle prescrizioni, dei trattamenti e delle scelte terapeutiche nella cura del diabete è in costante miglioramento. Su alcuni aspetti può e deve essere migliorata, per esempio con un maggiore impiego dei farmaci innovativi nel diabete di tipo 2.

Complessivamente, secondo Amd, lo scenario è positivo, come dimostra anche il generale miglioramento degli esiti di cura (vedi qui). Vanno sottolineati in proposito il più intensivo uso dei farmaci e l’applicazione più accurata delle terapie opportune rispetto ai risultati della precedente indagine (gli Annali 2012, basati su dati del 2011). Naturalmente, vi sono ancora margini di progresso. Vediamo in sintesi l’esito dello studio, secondo le valutazioni espresse dal Gruppo Annali Amd.

Nel diabete di tipo 1 risulta che siano in terapia insulinica con iniezioni multiple l’87% dei pazienti. Sono invece il 12,6% gli utilizzatori di microinfusore, con somministrazione sottocutanea continua di insulina. Amd sottolinea che la percentuale dei pazienti così curati è in aumento, ma osserva che quel 12% è sensibilmente inferiore rispetto al Nord Europa, dove si supera il 20%.

Per quanto riguarda il diabete di tipo 2, c’è un 5,7% di soggetti che non assume farmaci, un 61% che usa soltanto ipoglicemizzanti orali o altri medicinali iniettabili diversi dall’insulina, mentre il 30% utilizza insulina, da sola o in associazione ad altri farmaci.

Più in particolare, sei pazienti su dieci assumono metformina, mentre un quarto (2,4 su 10) utilizza un medicinale secretagògo (che, cioè, stimola la secrezione di insulina), come sulfaniluree e glinidi. Tra i nuovi farmaci, gli inibitori del Dpp-IV sono i più diffusi (18% secondo dati 2016); seguono gli inibitori del Sglt-2 (che sono disponibili dal 2015), e gli agonisti recettori Glp-1, impiegati rispettivamente dal 4% e dal 3,7% dei pazienti.

Su questi risultati relativi alla prescrizione dei medicinali, l’Associazione medici diabetologi osserva che “seppur in calo, l’uso delle sulfaniluree e delle glinidi (che dovrebbe essere ridotto in favore di farmaci con meno effetti collaterali) è ancora rilevante” . Su questo tema potete leggere anche qui e qui.

Nel diabete di tipo 2, è spesso necessario introdurre l’insulina nel trattamento della patologia quando la glicemia non è sotto controllo. Gli Annali registrano che i diabetici di tipo 2 che non sono trattati con insulina nonostante abbiano valori troppo alti di emoglobina glicata (sopra il 9%) sono diminuiti nel tempo, passando dal 40% del 2011 al 27% del 2016. Questo dato è considerato positivo e significativo perché dimostra un importante passo avanti nel contrastare il fenomeno della “inerzia terapeutica” (spesso segnalato da Amd – vedi, per esempio, qui), che ostacola il cambiamento della terapia in corso quando si renda opportuno prescrivere un intervento più incisivo.

Chi ha il diabete necessita spesso anche di trattamenti aggiuntivi per il controllo dei grassi o lipidi (colesterolo, trigliceridi) o della pressione arteriosa. A questo proposito, dal rapporto di Amd si ricava che il 30% dei pazienti con diabete di tipo 1 (erano il 24,6% nel 2011) e il 56% di quelli con diabete di tipo 2 (il 45% nel 2011) seguono una terapia ipolipemizzante, per riequilibrare i livelli dei lipidi nel sangue (soprattutto con l’impiego di statine, sopra il 90% dei casi sia nel tipo 1 sia nel tipo 2). L’aumento percentuale dei soggetti sottoposti a trattamento indica, per Amd, un significativo miglioramento dell’appropriatezza anche nella dislipidemia.

Meno favorevoli gli esiti dell’indagine per quanto riguarda specificamente il colesterolo Ldl (quello “cattivo”) alto: tra i soggetti con valori di Ldl superiori a 130 mg/dl, non sono in trattamento con ipolipemizzanti oltre i due terzi (il 68,3%) dei pazienti con diabete di tipo 1 e oltre la metà (il 52%) di quelli con diabete di tipo 2.

Per quanto riguarda l’ipertensione arteriosa, gli Annali segnalano che un terzo dei diabetici di tipo 1 e il 70% dei diabetici di tipo 2 assumono farmaci antipertensivi. Rispetto al 2011 è migliorata la percentuale dei diabetici di tipo 2 in trattamento, che erano il 60%. Dal punto di vista delle condizioni da migliorare, Amd segnala che sull’ipertensione si registra una certa inerzia terapeutica, perché “tra i soggetti con elevati livelli di pressione arteriosa, ben un paziente su due con diabete di tipo 1 e uno su quattro con diabete di tipo 2 non risultano trattati con anti-ipertensivi”. Inoltre, prosegue Amd, “anche l’utilizzo di terapia antiaggregante in prevenzione secondaria potrebbe migliorare, visto che quasi un quarto dei pazienti con evento cardiovascolare pregresso non la effettua”.

I risultati di cura tratteggiati dagli Annali sono quindi per lo più positivi, anche se migliorabili. L’importanza dei progressi nell’utilizzo e nell’applicazione delle terapie ha anche un risvolto economico, oltre che sanitario, perché una cura puntuale e appropriata permette di ridurre o allontanare le complicanze del diabete, che sono il maggior fattore di costo. Osserva infatti in proposito la Società italiana di diabetologia che “le persone con diabete ‘costano’ molto. Ma più per le complicanze che per la gestione del diabete”. Infatti, ricorda la Sid, “in generale il costo attribuibile alle complicanze e alle patologie concomitanti, diverse dal diabete, rappresenta il 90% della spesa complessiva, mentre solo il 10% è generato dalla gestione dal diabete di per sé”.