Attenzione al fruttosio: un suo consumo eccessivo accresce il rischio di obesità e diabete di tipo 2. Proprio un recente articolo di James J. DiNicolantonio e altri (pubblicato sulla rivista edita dalla Mayo Clinic negli Usa, Mayo Clin Proc 2015) mette in guardia contro un uso eccessivo di zuccheri semplici presenti in un’ampia varietà di alimenti trasformati e pronti all’uso presenti sugli scaffali dei supermercati.

Il consumo eccessivo di tutti gli zuccheri semplici contribuisce alla diffusione di obesità e diabete, ma il fruttosio, molto usato nelle bevande industriali, va assunto con particolare attenzione.

Si calcola che non meno del 75% di tutti i cibi confezionati in scatole, lattine o buste siano addizionati con dolcificanti, oltre che con grassi, sale, conservanti e coloranti. I dolcificanti aggiunti e dichiarati nella etichetta possono essere sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, zucchero di canna, maltosio, miele, succo di frutta concentrato, melassa, lattosio, destrosio o saccarosio. Questi zuccheri migliorano il sapore e il colore, mantengono la freschezza e rendono i cibi più appetitosi, ma aumentano l’apporto calorico e contribuiscono all’aumento di peso e alla diffusione dell’obesità, del diabete di tipo 2 e delle malattie cardiovascolari.

Consumi in pericoloso aumento

È stato calcolato che dal 1776 al 1994 il consumo stimato annuo di zuccheri aggiunti da parte dei cittadini americani sia aumentato da circa 4 libbre (1,8 Kg) a 120 libbre (54,4 Kg) per persona. Analogamente, il consumo di bevande zuccherate è aumentato da 10,8 galloni (40,9 litri) per persona per anno nel 1950 a 49,3 galloni (186,8 litri) nel 2000. Il risultato, dichiarato dagli autori dell’articolo, è che il 13% della popolazione consuma almeno il 25% dell’apporto calorico totale sotto forma di zuccheri aggiunti con un’alta prevalenza di fruttosio. Si calcola infatti che il consumo giornaliero medio di fruttosio, negli Stati Uniti, sia attualmente di 83,1 grammi per persona, valore che possiamo ritenere sottostimato per la frequente omissione del contenuto di fruttosio nelle etichette nutrizionali. Secondo alcuni, fino al 20% della popolazione consumerebbe una quantità giornaliera di fruttosio superiore a 100 g/die. Questi dati sono degni di rilievo, perché, pur sapendo che il consumo eccessivo di tutti gli zuccheri semplici contribuisce alla attuale diffusione della epidemia mondiale di obesità e di diabete, alcune caratteristiche del fruttosio inducono a sottolinearne la maggiore pericolosità.

Il fruttosio viene ingerito sotto forma di zucchero di canna grezzo o saccarosio, il suo prodotto di raffinazione, o, più frequentemente, come sciroppo di mais prodotto mediante un procedimento chimico enzimatico dall’amido di mais. Quest’ultimo è preferito dall’industria per la sua maggiore economicità e un maggior potere dolcificante, rispetto allo zucchero di canna o al saccarosio, per il più alto contenuto di fruttosio. Infatti, mentre il saccarosio è costituito da due molecole di glucosio e fruttosio legate insieme in quantità equimolecolari (50% ciascuno) nel disaccaride, lo sciroppo di mais contiene glucosio e fruttosio in forma libera e con una predominanza, fino al 65%, di fruttosio. Inoltre il saccarosio, in quanto disaccaride, deve essere sottoposto a idrolisi enzimatica durante la digestione prima dell’assorbimento intestinale, mentre glucosio e fruttosio, presenti nello sciroppo di mais in forma libera, vengono immediatamente assorbiti dalla mucosa intestinale e convogliati direttamente al fegato.

Gli effetti sul metabolismo

A livello epatico, il fruttosio ha la proprietà di stimolare la lipogenesi e di ridurre l’ossidazione degli acidi grassi. Entrambi questi meccanismi conducono a un accumulo di grasso nel fegato (steatosi epatica), che provoca, a sua volta, infiammazione e resistenza epatica all’insulina. Inoltre, viene stimolata nel fegato una eccessiva sintesi di acidi grassi che si traduce in una maggiore produzione di lipoproteine a molto bassa densità (Vldl) e in un maggior rilascio periferico di acidi grassi, che, accumulandosi nei miociti, provocano resistenza insulinica a livello muscolare. Dalla resistenza insulinica deriva un maggiore stimolo alla secrezione pancreatica di insulina, premessa di un possibile esaurimento beta-insulare e della insorgenza di diabete. Il fruttosio ha anche la capacità di stimolare la neoglicogenesi epatica, innalzando la glicemia e ponendo quindi un ulteriore stress alle cellule beta-pancreatiche.

A conferma di ciò, studi clinici hanno dimostrato che la sostituzione nella dieta, a parità di apporto calorico, di amido di grano, notoriamente costituito da solo glucosio, con saccarosio, contenente invece anche fruttosio, produce effetti metabolici negativi direttamente proporzionali alla quantità di saccarosio ingerito. È stato anche dimostrato che il rischio di diabete aumenta di ben 11 volte per ogni incremento di 150 kcal per persona per giorno sotto forma di zuccheri semplici rispetto a un identico incremento calorico non specificatamente legato a una maggiore ingestione di zuccheri e che, fra i vari tipi di zucchero, il consumo di sciroppo di mais, che contiene più del 50% di fruttosio, è quello che predice una maggiore incidenza di diabete.

Nel confronto con il glucosio, il fruttosio da solo ha un effetto negativo più pronunciato sulla sensibilità insulinica in volontari sani, mentre le esperienze condotte nei roditori hanno dimostrato che il fruttosio induce un maggiore incremento della concentrazione plasmatica di glucosio, insulina e trigliceridi, aumenta la quantità di cibo ingerito e, di conseguenza, provoca un maggiore incremento del peso corporeo e del volume del fegato.

Il fruttosio assunto con la frutta non è dannoso, ma anzi benefico, perché  presente in moderata concentrazione e accompagnato da antiossidanti e fibre.

I dati sin qui riportati sembrano essere in contrasto con l’osservazione che, quando il fruttosio viene assunto sotto forma di frutta di vario tipo e di vegetali, non solo non si verifica alcun problema per la salute, ma si ottiene una protezione nei confronti del diabete e delle malattie cardiovascolari e una riduzione della mortalità. Questa apparente contraddizione viene facilmente spiegata sulla base della bassa concentrazione di fruttosio negli alimenti naturali e della presenza, negli stessi, di antiossidanti, fibre e altri composti capaci di rallentare l’assorbimento o di tamponare il carico zuccherino.

È suggestivo considerare come le specifiche caratteristiche metaboliche del fruttosio, assunto attraverso l’ingestione di cibi naturali interi, possano aver conferito un vantaggio di sopravvivenza per l’uomo primitivo. Un deposito di calorie attraverso la deviazione preferenziale del metabolismo del fruttosio verso la lipogenesi nel fegato e nel grasso addominale era certamente desiderabile nella prospettiva di lunghi periodi di scarsità di cibo. Mentre, nell’era paleolitica, il fruttosio era disponibile, almeno nelle aree con clima non tropicale, solo su base stagionale e in basse concentrazioni, nei frutti maturi, oggi è presente in forma ubiquitaria e in alte concentrazioni negli alimenti trasformati. Quello che, in un contesto caratterizzato dalla scarsità di cibo, era un chiaro vantaggio sotto il profilo evoluzionistico, si rivela perciò essere un fattore decisamente negativo nell’attuale contesto di sovrabbondanza.

Le raccomandazioni dell’Oms

Particolarmente opportuna appare perciò la raccomandazione della Organizzazione mondiale della sanità di mantenere entro il 10% dell’apporto calorico giornaliero l’aggiunta di zuccheri alla dieta con l’obiettivo di ridurre questo livello al 5% o meno per un risultato ottimale per la salute. Analogamente, l’American Heart Association raccomanda di consumare non più di 6 cucchiaini (24 g) di zucchero al giorno per le donne e non più di 9 cucchiaini (36 g) per gli uomini, corrispondenti rispettivamente a 100 e 150 Kcal. Una particolare attenzione deve essere rivolta alle bevande zuccherate, consumate in grande quantità, di facile accesso perché facilmente disponibili, anche nelle scuole, attraverso i distributori automatici e considerate a ragione un fattore di rischio potenziale per l’aumento di peso.

prof. Paolo Brunetti

 

Per saperne di più

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