Quando una persona ha il diabete, l’ipoglicemia è uno dei principali rischi da evitare: una preoccupazione non solo del diabetico, ma anche di chi se ne prende cura, il cosiddetto caregiver, che è solitamente un familiare, un parente stretto (molto spesso genitore o figlio).

Quanto l’eventualità di una crisi ipoglicemica del proprio bimbo o della propria anziana madre sia ragione di stress e ansia per chi lo assiste e lo aiuta in famiglia è oggetto di una recente ricerca, “Family members: The forgotten players in the diabetes care team – The Talk-Hypo Study” (autori Alexandria Ratzki Leewing, Ehsan Parvaresh Rizi, Stewart B. Harris), pubblicata sulla rivista Diabetes Therapy,  del gruppo editoriale tedesco Springer.

Lo studio (finanziato da Novo Nordisk), basato su un questionario on line, curato da Ipsos, ha coinvolto quest’anno 4300 persone adulte di nove Paesi industrializzati (Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Giappone, Spagna, Regno Unito, Usa). La ricerca ha voluto puntare l’attenzione proprio sui familiari delle persone diabetiche, definite come “gli attori dimenticati del team diabetologico”.

Obiettivo era cercare di comprendere come vivono il loro impegno al fianco del loro caro affetto da diabete (di tipo 1 o 2, in cura con insulina e/o farmaci ipoglicemizzanti secretagoghi), partendo dalla cruciale questione della ipoglicemia, ovvero quando il glucosio nel sangue scende a livelli troppo bassi come possibile effetto collaterale della terapia (per esempio, in caso di una dose eccessiva di insulina in rapporto al pasto consumato o a uno sforzo fisico compiuto): una condizione che causa debolezza e malessere, se l’episodio è lieve -e dev’essere subito contenuto e superato con l’assunzione di zuccheri- ma che, in assenza di intervento adeguato e tempestivo, può avere conseguenze gravi e molto pericolose; l’allarme di ipoglicemia grave scatta al di sotto di 70 mg/dl (ne abbiamo parlato spesso, per esempio qui e qui).

Per lo studio internazionale “Talk-Hypo”, il 64% dei familiari che si prendono cura di una persona con diabete è preoccupato per il rischio di ipoglicemia e il 76% pensa che parlare di più dell’argomento, anche con il medico, aiuti a migliorare la gestione del problema e la qualità di vita sia del paziente sia dello stesso caregiver.

I risultati dell’indagine rivelano che due su tre familiari di persone con diabete (il 66%) pensano all’ipoglicemia almeno una volta nel corso di un mese e il 64% lo fa con preoccupazione e ansia per i possibili rischi di crisi.

C’è inoltre un generale consenso tra i partecipanti (il 76%) sul fatto che parlare di più di questa problematica abbia un positivo impatto sulla vita della persona diabetica, sia riducendo i fattori di ansia (per il diabetico e per il caregiver), sia abbassando il rischio stesso di una crisi ipoglicemica, rendendo più efficace il ruolo di assistenza al paziente svolto dal familiare.

Viene peraltro sottolineato come “il parlarne di più” debba essere facilitato e agevolato dal medico o dall’operatore sanitario.

I familiari che hanno risposto al questionario “TalkHypo” erano persone adulte, che, rispetto alla persona con diabete, erano coniugi, genitori, figli, ma anche nonni, nipoti, zii, cugini eccetera: infatti, può capitare a qualsiasi membro di una famiglia di dover fare da caregiver a un parente a cui venga diagnosticato il diabete.

Dalle risposte al questionario proposto dall’indagine risulta che, nel campione considerato, il 63% delle persone con diabete ha avuto, nell’arco di un mese, almeno un episodio di ipoglicemia lieve e il 26% una crisi grave. Il 34% ha avuto bisogno di ricovero ospedaliero.

Una delle domande principali contenute nel questionario riguardava l’intensità, il tipo e la frequenza delle ipoglicemie riscontrate nella persona con diabete. È risultato che, nel corso di un mese, il 63% ha avuto almeno una volta episodi di ipoglicemia diurna lieve o moderata, il 26% una ipoglicemia diurna severa e il 30% ne è stato colpito durante la notte. È stato rilevato che, nell’arco di dodici mesi, un terzo dei pazienti, il 34%, ha dovuto essere ricoverato in ospedale a causa della crisi ipoglicemica intervenuta. Un dato che mostra chiaramente, una volta di più, quanto sia importante prevenire una crisi ipoglicemica.

Come è logico aspettarsi, la stragrande maggioranza dei rispondenti (il 91%) ha consapevolezza di quanto sia indispensabile, nella gestione del diabete, contrastare i rischi di ipoglicemia. Il 77% dichiara di dare il suo aiuto per prevenirli e affrontarli (non solo dal punto di vista del controllo e del trattamento, ma anche dal lato del supporto psicologico) e, di questi, il 60% assume questo compito come propria responsabilità.

Certamente tutto ciò assorbe molto energie emotive, dato che, come accennato sopra, il 66% pensa al problema ipoglicemia almeno una volta nel corso del mese e la cosa genera sovente ansia, senso di inadeguatezza, timori. Inoltre, il 35% dei familiari-caregiver segnala che l’ipoglicemia, con le ansie che comporta, limita la loro indipendenza e il 29% ne riceve un impatto negativo sulla propria vita sociale.

Occuparsi dell’ipoglicemia del proprio parente ha significato per tanti (il 74%) sottrarre tempo alle proprie attività: dagli hobby ai viaggi, dallo stare insieme con altri membri della famiglia alla cura di sé eccetera.

Stewart Harris, uno degli autori della ricerca: “Questo studio suggerisce che i familiari possano rappresentare un importante stimolo per avere più dialogo sull’ipoglicemia all’interno della famiglia, così come con gli operatori sanitari, e tali discussioni potrebbero aiutare a migliorare la vita della persona con diabete”.

Parlare di ipoglicemia è qualcosa che fa bene: ne sono persuasi quasi tutti i partecipanti al questionario. Il 91% ne ha discusso con il proprio parente diabetico, l’85% è convinto che questo lo abbia aiutato a gestire meglio il problema, l’88% a capirne l’impatto sul paziente, l’83% a sentirsi più vicino al suo familiare.

È pressoché unanimemente riconosciuta l’importanza di parlare di ipoglicemia con il medico o l’operatore sanitario: il 94% afferma di averne tratto beneficio sotto vari aspetti, a cominciare dalla migliore comprensione, da parte del paziente, di come gestire l’ipoglicemia, della frequenza corretta con cui fare i controlli glicemici, della necessità di praticare sani stili di vita.

In ogni caso, si può fare di più. Il 76% afferma infatti che avere un maggiore dialogo con il proprio familiare sul tema dell’ipoglicemia avrebbe un impatto ancora più positivo sulla vita del paziente. Ma barriere e ostacoli ve ne sono ancora. I più comuni sono il rifiuto di parlarne da parte del paziente, la lontananza fisica, la mancanza o scarsità di confidenza e conoscenza.

In generale -osservano gli autori dello studio TalkHypo– molti familiari di persone con diabete sono stati catalizzatori del dialogo paziente-medico sull’ipoglicemia, avendo incoraggiato il proprio parente a parlarne, ricavandone vantaggi su vari aspetti della gestione della problematica. Ne consegue che il medico debba essere consapevole del ruolo attivo dei familiari e contribuire ulteriormente a parlare di più dell’argomento. Una maggiore sollecitazione da parte del medico può aiutare ad alleviare il peso che grava sui caregiver e al tempo stesso rafforzare la loro capacità di aiuto alla persona diabetica.

L’inchiesta -concludono gli autori- indica che una collaborazione strategica, attraverso il dialogo tra i medici e i familiari delle persone con diabete, è in grado di ridurre il peso che grava su di loro e insieme il rischio di ipoglicemia nel paziente e sottolinea l’importanza del coinvolgimento dei membri della famiglia nella gestione del diabete di uno dei componenti.

Chiosa il dottor Stewart Harris, professore di Family medicine/division of endocrinology/epidemiology and biostatistics alla Schulich school of medicine and dentistry of Western Ontario, Canada, e lead investigator per lo studio Talk-Hypo: “Sono state condotte poche ricerche relative agli effetti dell’ipoglicemia sui familiari delle persone che convivono con il diabete. Ma qualcosa di molto semplice come il conversare apertamente e onestamente può risultare incredibilmente benefico”.

“Questo studio -conclude Harris- suggerisce che i familiari possano rappresentare un importante stimolo per avere più dialogo sull’ipoglicemia all’interno della famiglia, così come con gli operatori sanitari, e tali discussioni potrebbero aiutare a migliorare la vita della persona con diabete”.