La presenza attiva del farmacista nel team diabetologico può agevolare e rendere più efficace la gestione del paziente con diabete e contribuire a offrirgli un’assistenza migliore. Come si è detto e scritto più volte (sul nostro sito ne abbiamo parlato, per esempio, qui e qui), data la complessità della patologia diabetica, che coinvolge tutto l’organismo e ha anche importanti risvolti psicologici, c’è unanime consenso sull’idea che la persona con diabete debba essere seguita, oltre che dal diabetologo, sia dal medico di medicina generale sia, in un rapporto di costante collaborazione, da una squadra di specialisti e professionisti con competenze specifiche, che lavorino insieme: un gruppo, coordinato dal diabetologo, che comprenda medici, infermieri, dietisti, podologi, psicologi, altri operatori sanitari. Dunque, allargando la prospettiva, anche per il farmacista nel team diabetologico si profila un ruolo importante, perché si tratta di un professionista della salute con il quale il paziente ha, per forza di cose, un rapporto assiduo, dovendosi recare da lui regolarmente per farmaci e presidi. E con il quale ha la possibilità di stabilire una relazione di dialogo e confidenza, quasi come con un amico esperto e competente.
Il Piano sanitario nazionale sul diabete prevede esplicitamente la partecipazione del farmacista al team diabetologico in stretta collaborazione con gli altri professionisti e attori coinvolti.
Il team diabetologico è il fulcro di quello che si chiama il modello di gestione integrata del diabete, che permetta di coordinare e, appunto, integrare le diverse figure sanitarie nell’attività di prevenzione e cura.
Nel volume della Società italiana di diabetologia “Il diabete in Italia”, un saggio è dedicato proprio alla gestione integrata del diabete e al team diabetologico (“La rete diabetologica italiana” di Concetta Irace e Antonio C. Bossi – Dipartimento di Scienze della Salute – Università Magna Graecia di Catanzaro; Malattie endocrine e Centro Regionale per il Diabete Mellito – Asst Bergamo Ovest, Treviglio -Bergamo). In queste pagine, parlando di assistenza al paziente diabetico, si cita anche il farmacista, ricordando che “già a partire dal 2006 l’Istituto superiore di sanità e il Centro per la Prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali avevano predisposto il progetto Igea che prevedeva la definizione della strategia d’intervento che migliorasse la qualità delle cure per le persone con diabete, attraverso l’attivazione di un Protocollo diagnostico-terapeutico condiviso da tutti i soggetti interessati: medici di medicina generale, specialisti del settore, specialisti collaterali delle complicanze, infermieri, dietisti, podologi, psicologi, assistenti domiciliari, direzioni delle aziende sanitarie, farmacisti, persone con diabete o rappresentanti delle associazioni di pazienti”.
Sid e Amd, negli Standard italiani per la cura del diabete del 2016, ricordano che il Piano nazionale sulla malattia diabetica, del 2013, sottolineava tra i propri obiettivi strategici il coinvolgimento di tutti i professionisti, sanitari e no, coinvolti nella problematica diabetologica prefigurando team locali idonei a gestire i vari gradi di complessità della patologia diabetica. Anche in questo documento si cita espressamente il farmacista come parte del team diabetologico multidisciplinare, che è considerato il metodo migliore per favorire la migliore assistenza e cura e facilitare l’autogestione del diabete da parte dei pazienti.
Degrassi (farmacista e docente): il farmacista nel team diabetologico può avere un ruolo rilevante, può contribuire alla prevenzione tramite consigli su comportamenti e stili di vita e individuando i fattori di rischio e, dialogando con i pazienti, favorire una migliore osservanza delle terapie prescritte dal medico.
Ma che cosa può fare concretamente il farmacista nel team diabetologico, per essere vicino alla persona con diabete e dare il suo contributo alla sua buona salute? Un’idea precisa e bene argomentata ce l’ha Damiano Degrassi, farmacista di lungo corso, professore a contratto presso il Dipartimento di Scienze chimiche e farmaceutiche, del corso di laurea in Farmacia dell’Università di Trieste, ex vicepresidente di Federfarma, il sindacato nazionale dei titolari di farmacia italiani: un professionista esperto che si è già occupato direttamente in passato, come docente e coordinatore, proprio di progetti di formazione per i farmacisti sul diabete, in collaborazione con associazioni di diabetologi come la Amd.
Secondo Degrassi, un professionista sanitario, presente capillarmente su tutto il territorio nazionale, naturalmente a contatto con i pazienti che si rivolgono a lui per i medicinali necessari, se adeguatamente preparato sulla materia, può fare non poco per chi ha il diabete, in stretta collaborazione con gli altri attori del team. Per questo la sua partecipazione al team diabetologico va incentivata e rafforzata.
Affidiamoci quindi alle sue stesse parole: “I farmacisti che operano nelle farmacie di comunità -osserva Degrassi- possono avere un ruolo rilevante nella realizzazione della rete assistenziale sul territorio e dei team diabetologici. Le farmacie, infatti, in virtù della loro diffusione capillare e delle caratteristiche di “servizio sanitario di vicinato” con una “porta sempre aperta”, presentano caratteristiche di utilità per il sistema sanitario, proprio quali punti di riferimento logistico, luoghi di facile accesso, con ampio orario di servizio e con alto indice di gradimento da parte dei cittadini. Sono molte le opportunità d’incontro tra i farmacisti e i cittadini, capaci di mettere in atto azioni volte alla prevenzione della patologia diabetica, tramite consigli su comportamenti e stili di vita, nonché individuando i fattori di rischio. Per altro verso, le occasioni di dialogo tra farmacisti e pazienti in terapia offrono l’opportunità di favorire una migliore compliance alle terapie prescritte dal medico, tramite un’azione di consiglio condivisa e di rinforzo rispetto alle indicazioni del medico, di verifica dei comportamenti d’adesione alla terapia e della persistenza nella cura”.
A giudizio di Degrassi, il farmacista può avere una funzione importante nell’azione di prevenzione, contribuendo a individuare soggetti che sono a rischio di diabete e diabetici che non seguono correttamente la terapia prescritta dal medico o favorendo l’emersione, e quindi la diagnosi, di tutte quelle persone che hanno il diabete, ma non lo sanno.
Continua dunque Degrassi: “In quest’ottica la farmacia può svolgere un ruolo molto rilevante per intervenire in tempo, sia per anticipare la diagnosi, sia per consentire di tenerne sotto controllo l’evoluzione. Si stima che, su tre soggetti diabetici, almeno uno non sia stato diagnosticato e, quindi, sia inconsapevole della malattia e delle sue complicanze. Il farmacista ha l’opportunità di informarsi in merito a storia familiare, fattori ereditari, età, abitudini e stili di vita (sedentarietà, alimentazione e fumo), effettuare un’osservazione empirica su altri parametri (peso corporeo, indice di obesità, misurazione della pressione, del Bmi e della “glicemia occasionale”, intesa come “curiosità glicemica” proposta in occasione di manifestazioni sanitarie e ricorrenze periodiche (come la Giornata del diabete)”.
È noto che uno dei problemi aperti per quanto riguarda la cura del diabete è che non di rado il paziente non segue con il dovuto scrupolo quanto raccomandato dal medico per tante diverse possibili ragioni (ne abbiamo parlato sul nostro sito qui e qui): dalla scarsa motivazione alle cattive abitudini dure a morire; dalla mancata comprensione di quanto detto dal dottore a problemi oggettivi (per esempio, pressanti esigenze di lavoro); dalle reazioni avverse ad alcuni farmaci all’assenza di sintomi che dèstino un immediato allarme. E si potrebbe continuare. Anche qui il farmacista adeguatamente formato ha spazio per dare il suo contributo per favorire l’osservanza della terapia, quella che medici e operatori sanitari chiamano spesso con il termine inglese di “compliance”.
Degrassi: “Vista la complessità e pluralità di procedure terapeutiche, è necessario che il messaggio del medico venga ripetuto e riconfermato da una figura di riferimento, sulla quale il paziente possa sempre fare affidamento, e alla quale possa facilmente accedere per confidarsi, esprimere dubbi, acquisire consigli”.
Quindi, dice Degrassi, “il team diabetologico territoriale ha il compito d’intervenire per sostenere il paziente e per trovare soluzioni alle difficoltà di raggiungere una compliance ottimale, tale da conseguire obiettivi di efficacia e sicurezza terapeutica. Ecco allora che anche il farmacista può svolgere un ruolo molto utile per raggiungere questo obiettivo, all’interno di una strategia condivisa da tutte le professionalità del team, di presa in carico del diabetico con le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e di debolezza. In particolare, quando le difficoltà alla compliance sono legate alle caratteristiche soggettive del diabetico, il farmacista può mettere in atto interventi e procedure di sostegno, che possono rivelarsi la chiave del successo e dell’efficacia della terapia impostata dal medico. Ricerche internazionali hanno, infatti, evidenziato che le indicazioni fornite dal medico nel corso della visita difficilmente vengono memorizzate dal paziente. Anzi, è stato dimostrato che, dopo 15 minuti, il diabetico ricorda soltanto il 50% di quanto indicatogli dal medico. Vista la complessità e pluralità di procedure terapeutiche, è necessario che il messaggio del medico venga ripetuto e riconfermato da una figura di riferimento, sulla quale il paziente possa sempre fare affidamento, e alla quale possa facilmente accedere per raccontarsi, esprimere dubbi, acquisire consigli, ottenere spiegazioni, in un clima che non incuta soggezione, bensì confidenza. Le frequenti occasioni di dialogo tra paziente/caregiver e la farmacia del territorio favoriscono il rapporto farmacista/paziente nell’ambito dell’aderenza terapeutica e, conseguentemente, della verifica periodica di una corretta e costante assunzione della terapia farmacologica”.
Il farmacista, per Degrassi, ha anche un ruolo peculiare dal punto di vista della sicurezza terapeutica, infatti, “ha l’opportunità di tener conto delle modalità prescrittive previste per ciascuno specifico farmaco. Esse riguardano sia l’aspetto normativo collegato alla sicurezza del paziente (tipologia di prescrizione medica: ripetibile, non ripetibile, riservata allo specialista), sia dell’aspetto legato alla dispensazione, al counselling, alla trasmissione dei contenuti tecnici, scientifici, psicologici connessi alla corretta comprensione e gestione della terapia. Parte fondamentale della sicurezza terapeutica è anche l’attività di farmacovigilanza sui possibili effetti collaterali o inattesi del farmaco, come pure la farmacosorveglianza sulla corretta modalità d’assunzione del farmaco, specialmente nel caso di terapie multiple”.
Anche sull’autocontrollo glicemico, elemento cardinale della gestione del diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2, il farmacista può fare la sua parte. Degrassi ricorda in proposito che “l’autocontrollo può essere gestito in modo autonomo, cioè direttamente dal paziente al proprio domicilio, oppure assistito, cioè effettuato con la strumentazione messa a disposizione in farmacia, con la presenza e l’assistenza del farmacista. In entrambi i casi, è un’attività che poi deve essere supervisionata dal medico curante, il quale può confermare e consolidare i comportamenti del paziente, responsabilizzandolo anche nella modulazione della terapia”.
Ecco perché Degrassi invoca “un’alleanza terapeutica tra i professionisti sanitari”, per “lavorare insieme, con obiettivi e percorsi chiari e condivisi. L’attività e i risultati del lavoro del team, infine, non vanno tenuti all’interno della squadra, ma debbono essere integrati nel dossier della persona, cioè nel suo patrimonio sanitario personale, che viene conservato nel Fascicolo sanitario elettronico. Questo documento sarà messo a disposizione per la consultazione da parte del personale sanitario chiamato a intervenire in qualsiasi evento che richieda la conoscenza della storia sanitaria del paziente e del suo stato di salute. Il Fse diventa così il documento nel quale “riconciliare” le informazioni degli interventi dei diversi operatori -coordinati tra loro- che hanno in carico il paziente o che hanno fornito prestazioni sanitarie, anche occasionali”.