Cittadinanzattiva ha presentato la seconda Indagine civica sul diabete in Italia. Una delle prime cose che salta all’occhio è che passano gli anni, ma rimangono forti differenze tra regioni e aree del Paese e si conferma il divario tra Nord e Sud a sfavore del Mezzogiorno, anche nel diabete.
La seconda Indagine civica sul diabete di Cittadinanzattiva fotografa un’Italia piena di differenze anche in questo campo: tra Nord e Sud, tra popolazione abbiente e meno abbiente, tra normative e loro attuazione concreta. Fra gli elementi positivi, l’ottima rete di centri diabetologici diffusi sul territorio. In generale, ancora molti i problemi da risolvere.
L’Indagine civica sul diabete (“Disuguaglianze, territorio, prevenzione, un percorso ancora lungo”) fornisce anzitutto i dati recenti della diffusione della patologia, che indicano che sono diabetici circa il 6% dei cittadini italiani, una cifra che si stima tra i 3,4 e i 4 milioni di persone, a cui andrebbero aggiunti i casi di diabete non diagnosticato, probabilmente un milione-un milione e mezzo di soggetti. Inoltre, vi sono circa 4 milioni di persone che non hanno il diabete, ma sono a rischio di svilupparlo nei prossimi anni.
La diffusione del diabete sul territorio nazionale
Neanche il diabete si distribuisce in modo omogeneo sul territorio italiano. Se la media nazionale è intorno al 5,8-6%, ecco come si presenta la diffusione passando da una regione o zona all’altra.
• Le aree con le percentuali più alte sono Calabria (8%), Molise (8%), Sicilia (7%)
• Quelle con la minore presenza sono le Province autonome di Bolzano (3%) e Trento (4%) e il Veneto (circa il 5%).
Inoltre, si rileva una maggiore presenza di casi di diabete nelle aree più povere e nelle fasce di popolazione meno istruite.
Per quanto concerne la mortalità (ogni anno più di 20.000 persone muoiono a causa del diabete), Sud e Isole registrano i valori più alti, rispettivamente 4,48 e 4,26 persone su 10.000. Risalendo la penisola, i numeri calano: al Centro 2,61 e al Nord 2,20.
Infatti, la mortalità per diabete più alta si rileva in Campania (5,53), Sicilia (4,93) e Calabria (4,43); la più bassa è in Lombardia (1,95), Bolzano e Trento (1,60).
Le basi dell’Indagine civica sul diabete
L’Indagine civica di Cittadinanzattiva (che ha ricevuto il contributo non condizionato di Medtronic Italia) ha esaminato 7.096 questionari (6.743 compilati da cittadini, persone con diabete o genitori di bambini o adolescenti con diabete, 353 da professionisti sanitari).
Il 78% di chi ha risposto è affetto da diabete di tipo 2, il 18% da diabete di tipo 1, lo 0,3% da diabete gestazionale, il 2,5% da altre forme.
L’indagine è stata predisposta con la collaborazione di tutte le principali società scientifiche, associazioni di pazienti, organizzazioni professionali coinvolte nell’universo diabete.
Vediamo allora che cosa segnalano, che cosa apprezzano e di che cosa si lamentano gli interpellati, seguendo la sintesi messa a disposizione da Cittadinanzattiva, sul cui sito potete trovare ulteriore documentazione e approfondimenti.
Buona la rete dei centri, ma non c’è coordinamento sistematico tra medici di famiglia e diabetologi
Circa la metà (46,5%) dei pazienti è in cura presso un centro diabetologico e la disponibilità e accessibilità dei centri risulta buona: quasi tutti sono aperti sei giorni la settimana per 38/40 ore, con apertura in alcune giornate anche nel pomeriggio oltre le 17. Sulla distanza dal luogo di residenza o di lavoro, le risposte oscillano tra i 3-5 e i 100 chilometri.
Quello che manca è il coordinamento tra medici di base e specialisti: infatti, soltanto il 6% segnala l’esistenza di procedure formalizzate di raccordo tra diabetologi e altri specialisti e medici di medicina generale o pediatri di libera scelta. Il 76,5% degli intervistati dichiarano di fare loro stessi da tramite tra cure primarie e medicina specialistica.
Sui Pdta poca informazione, ma chi lo conosce lo apprezza
Il Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale), tra chi ne usufruisce, riceve un buon giudizio dalla maggioranza degli intervistati (il 64%), perché è visto come una prova di attenzione da parte del Ssn verso il paziente (per il 65%) e consente una migliore presa in carico (73%).
Più difficile dire quanti soggetti siano inseriti in un Pdta: soltanto il 6% dei pazienti sa di essere inserito in un percorso diagnostico e il 54% dice di non essere in alcun percorso; per contro, oltre la metà degli specialisti afferma che i suoi assistiti sono in un Pdta. “Di sicuro -commenta l’Indagine- non c’è una informazione adeguata sui Pdta nei confronti delle persone con diabete”.
Il diabetologo figura di riferimento
Il diabetologo (81,9%), e il diabetologo pediatrico (94%), si confermano le figure professionali di riferimento per la presa in carico. Il ruolo dei medici di medicina generale è invece più limitato (20,9%), stando alle risposte. Questo dato probabilmente cambierebbe se si realizzasse concretamente l’auspicato coordinamento tra mmg e specialisti.
Prenotazioni di visite ed esami: di solito si fanno nel centro diabetologico
Le prenotazioni di visite ed esami avvengono principalmente presso il centro o ambulatorio che assiste il paziente (73%). Nel 20% dei casi se ne occupa il cittadino attraverso il centro prenotazioni regionale e nel 6% il Cup dell’azienda sanitaria.
I costi a carico delle persone con diabete
Purtroppo si conferma la necessità per il paziente di pagare di tasca propria parte di ciò che occorre per l’assistenza.
Infatti, l’86% afferma di pagare privatamente strisce reattive, lancette pungidito, gel glucosio convertito, cerotti e sensori per il monitoraggio della glicemia, perché non prescritti o forniti in numero insufficiente, o in ritardo, ed esami di laboratorio e visite specialistiche. Circa il 13% segnala una spesa di 100 euro l’anno, il 33% di 300 euro, il 6% di 450 euro, il 7% di 1.000 euro, il 19% di 1.500 euro, con punte sino a 3.000 euro.
La spesa più elevata riguarda i sensori e i dispositivi per il monitoraggio in continuo della glicemia. Il 13% paga un ticket per i farmaci (da 1 a 2 euro per confezione), il 4% paga una differenza per ottenere il farmaco di marca anziché quello equivalente.
Prescrizioni di strisce reattive: grandi divari tra una Regione e l’altra
Le differenze tra Regione e Regione si manifestano in modo evidente in diverse situazioni. Per esempio, ben Il 93% degli intervistati segnala limiti nella prescrizione di strisce reattive, con marcate differenze per quanto riguarda il tetto previsto per le differenti tipologie di pazienti: per i cittadini con diabete di tipo 1 si va dalle 25 strisce mensili garantite in Sicilia alle 250 di Abruzzo, Molise e Toscana, dove si arriva a 300 per i pazienti al di sotto dei 18 anni. Anche i pazienti con diabete di tipo 2 in terapia insulinica basale segnalano limiti mensili di 25 strisce nelle Marche, in Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Veneto, Trentino-Alto Adige.
Tecnologie di automonitoraggio glicemico sottoutilizzate
Non è ancora soddisfacente l’accesso alle più moderne tecnologie di automonitoraggio della glicemia. Oltre il 53% utilizza software specifici per la gestione del diabete, ma solo il 28% utilizza i sensori per il monitoraggio continuo e il 10,7% dichiara di utilizzare microinfusori insulinici con sensore. Queste tecnologie, pur essendo a carico del Ssn in tutte le Regioni, prevedono molte limitazioni.
Terapie innovative prescritte troppo poco
Insulina e farmaci orali si confermano le terapie più diffuse tra gli intervistati, prescritti nel 73% dei casi con piano terapeutico (il cui rinnovo è segnalato come burocratico, frammentato e con troppe autorizzazioni dal 20% degli intervistati –in proposito, sul nostro sito, si veda qui)
Sono ancora poco prescritti i farmaci appartenenti alle classi più innovative e con grandi differenze da Regione a Regione (anche di questo tema abbiamo parlato sul nostro sito: vedi qui e qui).
Buona l’attenzione delle persone verso la propria patologia
L’Indagine rileva che “l’attenzione delle persone con diabete nei confronti della propria condizione e della evoluzione della malattia si conferma elevata”. C’è una buona regolarità nel controllo dei principali parametri.
Infatti, “oltre al controllo della glicemia, nel periodo di riferimento, gli intervistati dichiarano di aver effettuato la misurazione dell’emoglobina glicata (93,2%), l’esame del fondo oculare (80%), la misurazione di colesterolo Ldl (66,%%) e microalbuminuria (60,3%), il controllo della pressione arteriosa (86,5%) e l’elettrocardiogramma (59,9%), mentre l’ispezione del piede fa registrare una percentuale più modesta (32,3%)”.
Troppi non fanno regolare attività fisica
L’Indagine segnala però un altro punto debole nella gestione del diabete in Italia: una insufficiente attenzione per stili di vita sani, in particolare per quanto riguarda la pratica di sport ed esercizio fisico.
Infatti, sono più della metà, il 54%, gli intervistati che dichiarano di non svolgere alcuna attività fisica con regolarità (era circa il 43% nell’indagine precedente). Sorprende che di questi, più della metà si concentri nella fasce di età tra 20 e 39 anni (14%) e tra 40 e 64 anni (42%).
Le carenze dell’educazione terapeutica
Ha partecipato a corsi di formazione sulla gestione della terapia solo uno su cinque degli intervistati, su argomenti come l’autocontrollo della glicemia (83%), l’utilizzo dei nuovi dispositivi (circa il 71%), l’alimentazione (20%), la conta dei carboidrati (18%) e l’attività fisica (16%).
Il diabete a scuola: poca formazione, scarsa informazione
Resta aperta anche la questione della scuola, dove per i bambini con diabete si riscontra poca assistenza e si constata una scarsa, se non assente, formazione del personale scolastico (segnalata dal 53% degli intervistati). (Ne abbiamo parlato anche noi sul nostro sito: si legga qui).
I genitori di bambini diabetici in maggioranza provvedono personalmente alla misurazione della glicemia e alla somministrazione di insulina a scuola.
Nel 72% dei casi sono proprio i genitori stessi a informare il personale su come gestire le eventuali crisi ipoglicemiche del bambino.
L’assistenza infermieristica per la somministrazione di insulina è presente solo nel 6% delle scuole.
Inoltre, il 13% dei genitori intervistati non considera adeguato per un bimbo diabetico il menù delle mense scolastiche e molti di questi, circa la metà, preferiscono rinunciare al servizio.
L’effetto Coronavirus sull’assistenza alle persone diabetiche
A difficolta si sono aggiunte altre difficoltà con il drammatico esplodere della pandemia, che ha reso più complicata la effettuazione di visite ed esami, spesso rinviati o sospesi (del tema abbiamo parlato anche qui).
Il 40% segnala infatti sospensioni delle visite diabetologiche, per periodi da 4 mesi a un anno.
In un terzo dei casi si segnala l’attivazione di controlli a distanza nelle fasi più dure della pandemia (tramite telefono, chat di messaggistica, collegamento web o piattaforme di telemedicina). Per il 58% dei pazienti queste modalità proseguono ancora oggi.
Anche i servizi dei centri diabetologici hanno subìto pesanti sospensioni per l’intero periodo del lockdown (6%) e da 6 mesi (13%) a un anno (13%). Il 46% dichiara avere utilizzato un centro una sola volta nel 2020, il 28% si è recato invece presso un reparto ospedaliero che si occupa anche di diabete. Più accessibili sono stati invece gli ambulatori delle Asl (il 12% ha ottenuto da 3 a 5 appuntamenti).
Moccia (Cittadinanzattiva): “Investire sulla prevenzione, a cominciare dai corretti stili di vita, promuovere un accesso diffuso alle tecnologie, ridurre le differenze significative tra le Regioni, che sono all’origine di disparità e disuguaglianze nell’accesso alle cure. Sono gli ambiti che i dati di questa indagine ci indicano come prioritari per i cittadini con diabete”.
Sintetizza così i risultati dell’Indagine civica sul diabete Francesca Moccia, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva: “Investire sulla prevenzione, a cominciare dai corretti stili di vita, promuovere un accesso diffuso alle tecnologie, ridurre le differenze significative tra le Regioni, che sono all’origine di disparità e disuguaglianze nell’accesso alle cure. Sono gli ambiti che i dati di questa indagine ci indicano come prioritari per i cittadini con diabete”.
“La gestione delle persone con diabete -prosegue Moccia- dovrebbe diventare un esempio concreto del lavoro di riorganizzazione e integrazione dei modelli di assistenza sul territorio, di cui parliamo con insistenza da anni e che la pandemia ha mostrato in tutta la sua emergenza”.
Invece, “il Piano nazionale sulla malattia diabetica è ancora lì, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, e le Regioni lo stanno attuando in ordine sparso e con modalità diverse. Un peccato, tanto più che il valore del Piano risiede soprattutto nella proposta di una impostazione comune su tutto il territorio nazionale, che dovrebbe contribuire ad assicurare maggiore omogeneità e garantire eguale diritto di accesso, qualità e sicurezza alle cure e all’assistenza alle persone con diabete. È il momento di rispolverare quel documento, riattualizzando e confermando con politiche concrete gli impegni assunti ormai quasi un decennio fa”. (Sul Piano nazionale del diabete, trovate un articolo sul nostro sito qui).